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La lunga caduta della Juventus di Thiago Motta
24 mar 2025
Racconto di otto mesi tragici.
(articolo)
14 min
(copertina)
IMAGO / Giuseppe Maffia
(copertina) IMAGO / Giuseppe Maffia
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Il 12 giugno del 2024 Thiago Motta diventa il nuovo allenatore della Juventus, per lui un contratto di 3 anni a 5 milioni di euro, l'idea di un nuovo grande progetto che possa portare la Juventus finalmente nel futuro. Il primo giorno di lavoro è il 7 luglio: Motta arriva alla Continassa, prende confidenza con le stanze dei bottoni, visita la palestra, i campi, gli spogliatoi. La prima cosa che fa è chiedere foto e nome di ogni dipendente della Juventus, così da poterli chiamare per nome.

«Sarà una stagione impegnativa, però allo stesso tempo è bellissimo giocare tante partite».


L’INIZIO PROMETTENTE
Il 10 luglio inizia il ritiro. Mentre i tifosi della Juventus scrutinano i video dei primi allenamenti sui social per dare una percezione reale al cambiamento rispetto all’era Allegri, dietro le quinte avviene la rivoluzione del mercato gestita dall’allenatore insieme a Cristiano Giuntoli. Sono giorni in cui alla Juventus nessuno è al sicuro: i giocatori che non fanno parte del progetto vengono ceduti, oppure messi in disparte in attesa di una sistemazione.

Alla fine, con modalità diverse, a lasciare il club in estate saranno: Szczęsny, Rabiot, De Sciglio, Rugani, Alex Sandro, Kean, Soulé, Huijsen, Nicolussi Caviglia, Miretti, Iling-Junior, Barrenechea e Chiesa. Qualche senatore, molti giovani.

Per gli acquisti bisogna aspettare un po’ di più. Arrivano subito Di Gregorio, Khéphren Thuram e Juan Cabal. Il 26 luglio c’è la prima amichevole: una sconfitta per 3 a 0 contro il Norimberga, in cui Vlahovic sbaglia un rigore. Motta la definisce «una sconfitta che ci fa bene». Sono comunque i giorni in cui si guarda più al mercato che al campo: per 45 milioni di euro arriva Douglas Luiz dall’Aston Villa. Poi il 19 agosto c'è il debutto ufficiale, contro il Como. La sorpresa sono Savona e Mbangula, due giovani della seconda squadra promossi titolari, un po’ per scelta e un po’ per necessità. La Juventus vince 3-0 contro un Como ancora del tutto in costruzione, ma che già piace per il piglio e l’organizzazione. Per qualcuno è già possibile vedere una forte discontinuità con il lavoro di Allegri.

Ma col mercato aperto è ancora alle trattative che si guarda. In una decina di giorni arrivano Kalulu in difesa - terza scelta dopo aver fallito l’assalto a Calafiori e Todibo - Nico Gonzalez e Francisco Conceição per puntellare gli esterni, e alla fine, Koopmeiners, per 60 milioni di euro. L’olandese è stato inseguito per tutto il mercato, la clip del suo arrivo sembra quella del rilascio di un rapito. Un video che sprizza boria da ogni frame e che oggi suona come un triste monito di quello che sarebbe accaduto, soprattutto al momento dell’incontro con Motta.

La Juventus vince 3-0 col Verona, poi arriva un pareggio 0-0 con la Roma. Sono le prime tre giornate, quello che si nota di più è la tenuta difensiva: in 270 minuti la squadra non ha praticamente concesso tiri in porta. In campo si vede già che il vero mantra dell’allenatore è l’equilibrio, il controllo.

Il 4-2-3-1 con cui si dispone la Juventus ha una soluzione diversa per ogni avversario, l’idea è di essere sempre una mossa avanti, soprattutto quando ci si deve difendere, una difesa mai passiva, sempre propedeutica al dominio del gioco. Quando però la Juventus pareggia 0-0 con l’Empoli producendo una miseria, si inizia a intravedere l’altro lato della luna, ovvero le difficoltà a creare col pallone tra i piedi.

In questo primo scorcio di stagione la Juventus è una squadra interessante ma non divertente. Iniziano a circolare paragoni tra la Juventus di Allegri e quella di Motta: perché cambiare tanto per avere lo stesso risultato? Se l’idea è difendersi, tanto valeva farlo senza il pallone invece che con il pallone. Poi però era arrivata la partita con il Red Bull Lipsia. Il 2 ottobre la Juventus, sotto 2-1 e in inferiorità numerica, rimonta e vince 3-2.

Nel secondo tempo Vlahovic segna due gol bellissimi e sembra pronto a tornare quello di Firenze, poi nei minuti finali arriva il gol vittoria di Francisco Conceição, con una giocata strepitosa in mezzo a due avversari. L’immagine della sua esultanza scivolando sulle ginocchia davanti a Motta straripante di gioia rimarrà il momento più alto di questo breve matrimonio. Quella sera, più che il risultato in sé, erano state soprattutto le scelte di Motta a esaltare l’ambiente, come la decisione di fare cambi offensivi dopo l’inferiorità numerica e l'aver chiamato la squadra a salire e attaccare anche dopo il pareggio. Un atteggiamento che ai tifosi, abituati al realismo storico bianconero, era parso rivoluzionario e che aveva pagato: il rifiuto del calcolo premiato con una vittoria spettacolare.

Ai microfoni Motta attesterà le sue scelte alla volontà dei giocatori: «I giocatori erano veramente convinti di andare in avanti perché potevamo fare male alla squadra avversaria. E anche con un uomo in meno la sensazione era quella lì: e allora perché andare indietro? Andiamo in avanti».

LA PAREGGITE
La partita con il Lipsia sembra la svolta in positivo della Juventus di Motta e invece in sé contiene il primo germoglio del fallimento. Dopo 5 minuti infatti Bremer era uscito per la rottura del legamento crociato, un infortunio che toglie di mezzo il miglior difensore della squadra e mostra le prime crepe nella costruzione della rosa.

Prima arriva una sconfitta contro lo Stoccarda che nel mega girone di Champions cancella la grande vittoria col Lipsia; poi contro l’Inter, l’avversario storico della Juventus ma anche il riferimento a cui puntare per tornare a essere la miglior squadra in Italia, finisce con uno stranissimo e spettacolare pareggio 4-4. Fino a quel momento la squadra di Motta aveva concesso pochissime occasioni agli avversari (0.31 xG subiti a partita, rigori esclusi, un dato irreale), ma quel pomeriggio a San Siro nei primi 70 minuti l’Inter avrebbe potuto segnare anche 8 gol. L’improbabile rimonta arrivata nel finale grazie a una doppietta di Yildiz serve a nascondere la polvere sotto il tappeto: i limiti nella gestione del possesso contro squadre che sanno pressare bene, la mancanza di un difensore che possa coprire tanto campo, una certa rapsodia nella scelta dei giocatori da parte di Motta.

Se all’inizio i continui cambi di formazione sembrano una necessità per trovare la giusta strada da seguire, col passare delle settimane le scelte di Motta iniziano a destare qualche perplessità. Soprattutto, si scontrano con quanto si vede in campo. Fagioli, che contro il Lipsia era stato forse il migliore in campo, viene relegato in panchina e praticamente dimenticato; Koopmeiners, che in campo è un fantasma, sempre riproposto come trequartista, senza però avere chiare le idee di come farlo tornare utile.

Inizialmente l’olandese veniva usato da Motta per compensare i movimenti di Yildiz verso l’interno diventando praticamente un’ala, poi invece ha iniziato a scendere di più tra i centrocampisti per toccare più palloni, alla fine si è praticamente abbandonato al suo destino, accettando passivamente di non avere un ruolo in squadra, se non quello di essere ordinato senza palla. Yildiz, al contrario, schierato sempre sull’esterno nonostante non abbia lo spunto di un’ala, ha finito per essere spesso prevedibile. Lo stesso giocatore turco aveva lasciato intuire in un’intervista che quel ruolo non gli piace e che lui si sente un trequartista, uno che gioca in mezzo al campo. Douglas Luiz, il cui acquisto era sembrato un simbolico cambio di passo nelle strategie di mercato della Juventus, un centrocampista molto tecnico strappato alla Premier League, bocciato senza quasi aver visto il campo.

Contro il Milan, il 23 novembre, un infortunio a Vlahovic mostra tutti i limiti della rosa e dell’allenatore. Motta, in assenza di un vice, che sarebbe Milik (il polacco però è sparito nel buco nero degli infortuni), sceglie Koopmeiners e McKennie come staffetta di centravanti, ottenendo in cambio una delle partite più incredibilmente soporifere della stagione, uno 0-0 con un totale di tre tiri in porta, e neanche di quelli pericolosi.

Inizia un lungo periodo in cui la Juventus è una squadra altalenante: una buona prestazione qui (come contro il Manchester City), poi una cattiva lì; una partita giocata con determinazione e poi una con le gambe molli. Non uno straccio di continuità. Anche all’interno della stessa partita la squadra si mostra particolarmente labile: può dominare per un tempo e poi sciogliersi in quello successivo, oppure passare intere partite tenendo il pallone (la Juventus in quel momento è la squadra con la maggiore percentuale di possesso palla in Serie A) ma creando pochissimo e magari subendo gol per distrazioni improvvise (come contro il Lecce).

Il risultato è stato una serie paradossale di pareggi (16 finora) spesso contro squadre di livello inferiore come Empoli, Cagliari, Lecce, Parma, Torino, Club Brugge e Lille.

IL SUSSULTO PRIMA DELLA GRANDE CRISI
Il clima intorno alla Juventus diventa surreale. Da una parte è una delle poche squadre rimaste imbattute in campionato in Europa, è ancora in corsa in Champions League e in Coppa Italia; dall’altra vince davvero troppo poco per essere la Juventus (alla fine Motta vincerà 18 delle 42 partite allenate, appena il 43%, solo Delneri e Puppo hanno fatto peggio). Guardando le partite si vede lo sforzo di Motta per cercare di dare un’identità alla squadra e si vede anche lo sforzo della squadra per provare a seguire le indicazioni del suo allenatore. Ma il processo appare troppo lento e accidentato: i giocatori sembrano spesso impauriti, impegnati solo a fare il compitino, il passaggio in orizzontale al compagno per poi andare a occupare la posizione che gli spetta. Quando si prendono qualche rischio, spesso vengono fuori tutti i limiti tecnici e mentali.

Una parte del problema sono anche gli infortuni piccoli e grandi, che impediscono a Motta di trovare una direzione definitiva. Oltre a Bremer e Cabal fuori per tutta la stagione, la Juventus è martoriata dagli infortuni muscolari (26 distribuiti su 14 giocatori, per un totale di 430 giorni di assenza). Contro il Lecce addirittura sono appena 12 i giocatori di movimento disponibili. Anche per questo a gennaio Giuntoli è chiamato a un lavoro importante di ristrutturazione. Per sistemare la difesa, il reparto più disastrato, arrivano Renato Veiga (prestito secco), Alberto Costa (definitivo) e Kelly (prestito con obbligo). Danilo viene lasciato libero, senza però fargli salutare i tifosi allo Stadium. L’ex capitano nella sua lettera di addio parla di “progetti fantasiosi”. Saluta anche Fagioli, che lascia Torino per Firenze con le lacrime agli occhi. In più arriva Kolo Muani dal PSG per coprire il buco in attacco. Vlahovic viene accantonato come se fosse l’origine di tutti i mali e per un attimo sembra così.

Il francese segna quasi con ogni pallone toccato e per qualche partita la Juventus è in ripresa, se non nel gioco almeno nei risultati. Arrivano 4 vittorie consecutive contro Empoli, Como, PSV e Inter. Soprattutto le ultime due hanno un valore emotivo importante. Se Motta non è riuscito ancora a riproporre quanto visto a Bologna, dove risultati, equilibrio e bel gioco andavano a braccetto, con l’arrivo dei nuovi e il recupero di tutta la rosa in maniera rocambolesca la Juventus sembra tornata al suo posto.

La vittoria con l’Inter arriva al termine di una partita combattuta alla pari, in cui la squadra di Motta mostra un’energia vitale e un’intensità che ricorda quella di Lipsia. Nel secondo tempo soprattutto domina con il pallone e senza, fino a trovare il gol vittoria con una grande giocata di Kolo Muani per Conceicao. Siamo al 16 febbraio e senza neanche capire bene come, la Juventus si trova a soli 6 punti dal primo posto in Serie A e con un vantaggio di un gol nell’andata degli spareggi della Champions League.


IL CROLLO NON COSÌ INATTESO
Il calcio, però, raramente inganna sul lungo periodo. Tre giorni dopo la vittoria con l’Inter, la Juventus è attesa in Olanda per il ritorno con il PSV. La squadra che scende in campo sembra lontana anni luce da quella vista appena tre giorni prima. Sembra semplicemente non aver preparato la partita più importante della stagione: fin dal primo minuto è incapace di uscire dalla propria metà campo, soffre il pressing a tutto campo degli olandesi ed è incerta nelle giocate tecniche. All’atavica difficoltà di avere un gioco offensivo efficiente si aggiunge anche un'inedita fragilità difensiva. La prestazione è deludente su tutti i piani del gioco e l’eliminazione ai supplementari è la logica conseguenza.

Motta viene molto criticato per alcune scelte, come quella di tenere Yildiz in panchina per far giocare McKennie trequartista, o l’aver tenuto Vlahovic in panchina per 90 minuti. La sua risposta è: «​​Fa male ma rifarei tutto. Non abbiamo buttato via niente».

È una risposta che evidenzia anche lo scollamento di Thiago Motta dalla realtà in cui si trova. Un certo fare dispotico che mal si sposa con una squadra come la Juventus. Nel momento delle difficoltà, invece di venire incontro alla squadra tatticamente, l’allenatore si irrigidisce ancora di più, senza accorgersi che il gruppo lo sta mollando.

Diventa evidente una settimana dopo in Coppa Italia contro l’Empoli. La Juventus gioca una partita di una pigrizia e una sciatteria a cui è difficile credere da fuori. Nel primo tempo avrebbe potuto subire almeno due gol, se non di più, da una squadra che in campionato è in piena crisi. Rimonta con un gol assurdo di Thuram, forse l’unica nota lieta della stagione, ma perde ai rigori. «Provo solo vergogna, anche di me stesso», dice Motta dopo la partita «C'è chi pretende senza dare». Poco dopo Il Corriere della Sera riporta le parole anonime raccolte da un amico di un calciatore della Juventus: «Non lo sopporto e non sono l'unico. Non sai mai cosa aspettarti, da titolare a 90 minuti in panchina». Un altro tema è la fascia da capitano: negli 8 mesi in bianconero cambierà 7 volte braccio, un'idea di eguaglianza che se al Bologna era sembrata gioiosa alla Juventus diventa solo confusa.

Dopo Empoli, probabilmente, a incidere in negativo è stata anche l’inesperienza di Motta e della stessa squadra (la Juventus ha la seconda rosa più giovane della Serie A dopo il Parma). Invece di parlarsi e trovare un punto di incontro, squadra e allenatore si sono allontanati sempre di più. È difficile spiegare altrimenti quello che è successo dopo, le due sconfitte consecutive contro Atalanta e Fiorentina. Due partite in cui la Juventus ha subito sette gol segnandone zero, in cui sono saltati anche i pochi cardini della stagione, cioè il controllo e la tenuta difensiva. A quel punto sono rimaste solo le macerie: le difficoltà offensive, una fragilità mentale fastidiosa, la sensazione che la squadra avesse mollato non solo l’allenatore ma anche il proprio talento.

La partita di Firenze è abbastanza indicativa: Motta ha lasciato in panchina Cambiaso, Conceição, Yildiz e Vlahovic. Addirittura, nonostante lo svantaggio da recuperare, Yildiz e Vlahovic sono rimasti seduti per tutti e 90 i minuti. Sono il numero 9 e il numero 10 della Juventus, anche a livello simbolico è stata una decisione troppo pesante, che non solo non ha pagato, ma che l’allenatore non è stato in grado di giustificare. Dopo quella partita sono arrivate le critiche anche di Alessandro Del Piero, uno dei pochi intorno al mondo Juventus a essere ancora ascoltati dai tifosi: «Non c'è stata reazione, quando manca vuol dire che sei proprio in uno stato vuoto e questo non rispecchia affatto lo spirito Juve».

Inizialmente era sembrato che la società fosse disposta a concedere a Motta di continuare, almeno fino alla partita con il Genoa, poi però qualcosa si è incrinato. Secondo la Gazzetta dello Sport è stato il colloquio tra Giuntoli e l’allenatore, in cui Motta “si sarebbe mostrato freddo e all’apparenza sereno nel momento complicato”, ancora convinto di poter imporre il suo gioco. Il DS della Juventus, sempre secondo le ricostruzioni giornalistiche, avrebbe detto all’allenatore di essersi vergognato di averlo scelto. Sembra sia stato lui a buttarlo giù dalla torre, forse per cercare di non cadere insieme, visto che i problemi di questa stagione, come visto, possono essere imputati anche al mercato.

La Juventus di Motta è finita così, nella prima domenica pomeriggio di primavera, nel bel mezzo della pausa delle Nazionali. È sembrato quasi che la società volesse nasconderne la storia, buttarla nella spazzatura come lo scontrino appallottolato di una spesa eccessiva a cui non si vuole più pensare.

Ora ognuno può andare per la sua strada: la Juventus con Tudor, alla ricerca di qualcosa di totalmente diverso da quello che aveva voluto appena qualche mese fa, Motta con la necessità di ricostruirsi una reputazione da buon allenatore. La sensazione è che questo matrimonio potesse andare meglio, ma che qualcosa di oscuro e intangibile si sia infilato tra Motta e la Juventus. Nel calcio, comunque, sono cose che succedono.

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